Per i tre giorni del Convegno dei seminaristi promosso da Missio Consacrati, un centinaio di seminaristi si sono ritrovati a Loreto per esplorare i nuovi orizzonti pastorali aperti dalla visione a 360 gradi della missione.
Le periferie del mondo sono affollate di persone che aspettano l’annuncio della Parola. Un richiamo che si fa urgente e che cerca nuove vie da percorre quando è giunta l’ora di Partire dalla periferia per raggiungere tutti come ricorda il titolo del 58esimo Convegno missionario nazionale dei seminaristi che si è svolto a Loreto dal 27 al 30 marzo scorsi. All’incontro, organizzato da Missio Consacrati, hanno partecipato un centinaio di giovani provenienti da 25 Seminari italiani, incluso il nostro seminario umbro rappresentato da Niccola Testamigna e Luis Vielman, e che si sono riuniti presso il Centro Giovanni Paolo II di Loreto per ascoltare le testimonianze dei relatori e partecipare ai gruppi di studio che hanno animato i tre giorni di lavori dedicati alla declinazione missionaria dei verbi: uscire, incontrare, donarsi. Don Alberto Brignoli, vicedirettore dell’Ufficio di cooperazione missionaria tra le Chiese, e precedentemente fidei donum per nove anni in Bolivia, ha aperto il Convegno, sottolineando che <<negli Istituti missionari emerge lâurgenza di rileggere il carisma in funzione di una missione profonda e globale. Il convegno si pone due obiettivi: riaccendere il fuoco per la missione, sia ad gentes che inter gentes (in modo particolare ai poveri) e poi studiare nuovi modi e stili di presenza missionaria nella nostra realtà (la missione ai lontani), partendo dalla considerazione che la missione non è uno degli impegni della pastorale, ma il suo costante orizzonte e il paradigma per eccellenza: L’azione missionaria è la vera essenza del nostro ministero, non è un limite>>. Nell’ottica di una riflessione ad ampio raggio, in vista del prossimo Convegno missionario nazionale di Sacrofano, alcune testimonianze di missionari hanno raccontato i grandi temi e i vari tipi di problemi con cui la missione impone di confrontarsi. Per affrontare le numerose sfide del verbo “andare”, ha preso la parola don Francesco de Vita, della diocesi di San Severo, fidei donum in Benin. Prima di partire, don Francesco aveva cercato di prepararsi con la lettura dei testi sacri che aveva messo tra le poche cose del suo bagaglio. L’impatto con la realtà di Wansokou gli ha fatto capire che doveva ripensare il modo di essere prete: era davanti ad una realtà nuova, per abitudini, religione, cultura di vita e doveva accogliere questa realtà perché era stato mandato ad annunciare il Vangelo. <<Siamo chiamati – ha detto – ad uscire non per “fare” qualcosa, ma per portare luce e speranza. Uscire e percorrere un pezzo di strada permette di incontrare l’altro, tirandolo fuori dall’anonimato. L’altro lo incroci se percorri la strada che percorre la gente. Non è la gente che deve venire: è il missionario che deve uscire, anche fisicamente, dal proprio recinto. Si deve incontrare la gente nella sua sete di Dio e nei suoi bisogni>>. Don Massimo Valente, della diocesi di Padova, è stato fidei donum in Brasile e grazie alla sua esperienza, nella seconda giornata del Convegno, mostrando le istantanee della vita missionaria nella favela alle porte di Rio de Janeiro, ha spiegato che <<il verbo incontrare raccoglie tre preposizioni: “in”, “con”, “tra”. Bisogna incontrare l’uomo là dove egli vive. Il primo dato è stato quello dell’andare in una nuova realtà , avendo il coraggio di immergersi completamente e di camminare a fianco delle persone. E restarci con l’odore delle pecore addosso come ha detto papa Francesco, sentendo e soffrendo con gli ultimi>>. Anche don Paolo Boumis, della diocesi di Roma, che è stato fidei donum in Brasile, ha parlato dell’esperienza della relazione, del dono di sé agli altri: <<Non sempre il donare si incastrava col vissuto delle persone. Forse c’era un linguaggio, una grammatica da imparare! La reciprocità consiste anche nella condivisione, non solo nel donare qualcosa. C’è poi una reciprocità che parte dalla propria debolezza, la reciprocità è anche sapersi lasciar amare, riconoscere di non essere onnipotenti! Bisogna prendere coscienza delle proprie povertà , solo così ci si mette in una relazione di scambio reciproco>>. Sempre nella giornata del 29 marzo, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, ha parlato della frontiera italiana della vita nella “Terra dei fuochi”, in Campania. Don Maurizio ha raccontato comâ’è nata la sua vocazione, dopo la morte della madre, sotto il segno di un ringiovanimento dello stile del servizio a Dio. Nel 1980, dopo il terremoto nella regione, don Patriciello è andato a fare il parroco in un quartiere povero di Napoli. <<Quando le povertà si ammassano, non si sommano, si moltiplicano a dismisura; per questo dobbiamo accorciare gli spazi tra l’altare e la strada. Per avere nemici non è necessario fare grandi cose, basta essere onesti, essere di Cristo. Essere preti darà sempre fastidio a qualcuno>>. Dopo le testimonianze di alcuni laici missionari in Argentina e in Colombia – Valentina Grignoli di Biella e la famiglia Parolini di Milano – don Alberto Brignoli ha fatto sintesi dei tre giorni di convegno e dei numerosi spunti emersi dai gruppi di studio, mettendo in guardia dai rischi di un <<cristianesimo senza Cristo, di una pastorale troppo ordinaria, schematica e vuota e di una formazione seminaristica troppo ingessata e poco missionaria>>. Bisogna imparare dalle Chiese sorelle una pastorale ”aperta”, perché oggi la Chiesa vive un risveglio di speranza e di ottimismo, occasione storica da non perdere. (a cura di M.F.DâA.) Missio Consacrati
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